I peggiori errori di valutazione della storia

Quando la stupidità provoca enormi perdite finanziarie: la classifica delle decisioni più insensate prese dai manager di grandi aziende.

Tutti abbiamo commesso degli errori che ci hanno procurato un danno economico, ma sicuramente non così grandi come quelli commessi da questi uomini d’affari, che non hanno saputo cogliere delle occasioni che per altri si sono rivelate delle miniere d’oro. Se quindi ancora ti brucia per quell’auto di seconda mano che non è stata l’affare che credevi o per la scelta di azioni che non ti hanno portato profitto o per un lavoro che non si è rivelato all’altezza delle aspettative.. beh, puoi consolarti leggendo questa classifica dei più clamorosi (e costosi) errori imprenditoriali.

Un posto d’onore va alla Decca Studios, di Londra: nel 1961 un cacciatore di talenti di nome Mike Smith andò fino a Liverpool per ascoltare una sconosciuta band di 4 ragazzi, che poi invitò per un’audizione da tenersi presso gli studi della Decca.

[The Beatles nei Decca studios]

Ad inizio del 1962 la sconosciuta band tenne l’audizione proponendo 15 brani: “vi faremo sapere”, e i 4 ragazzi tornarono a casa, in attesa della risposta, che arrivò qualche settimana dopo, per decisione di mr. Rowe e comunicata direttamente al manager della band: “i suoi ragazzi non ci piacciono [..] assomigliano troppo ad un altro gruppo che si chiama The Shadows“. La sconosciuta band rifiutata erano The Beatles, che successivamente firmò con la EMI e scalarono le classifiche diventando la band più famosa di tutti i tempi. Curiosamente qualche anno dopo la EMI, in cerca di partner logistici e non solo per far fronte all’aumentata mole di lavoro provocata dal fenomeno Beatles, chiese aiuto alla stessa Decca.

Poteva acquistare Microsoft quando era agli inizi.. Nel 1979 il miliardario americano Ross Perot probabilmente intuì le capacità dell’allora semi sconosciuto Bill Gates e della sua Microsoft, e fece un’offerta per acquisirla. Non si misero d’accordo sul prezzo: non è chiaro se è vero quanto disse Perot (avrebbe offerto 40/60 milioni di dollari) o quanto ribadì Gates (l’offerta era solo di 6/15 milioni di dollari), fatto sta che l’affare non si concluse. Oggi Microsoft vale oltre 240 miliardi di dollari…

Mai notato dei marchi importanti o prodotti famosi in una scena di un film, come ad esempio un attore che guida una certa automobile, o beve una specifica bibita, o fuma una determinata marca di sigarette (come accadeva in tantissimi film italiani degli anni settanta e ottanta, con primi piani delle Malboro e Merit)? Riuscire a piazzare dentro la scena di un film il proprio prodotto ben visibile porta un vasto ritorno pubblicitario, sopratutto se il film è di successo. Ma bisogna saperlo riconoscere, o almeno non chiudere la porta alla fortuna che sta bussando. [M&Ms] E’ quanto capitato alla Mars Inc, la ditta produttrice dei famosi M&M. Forse il fatto di essere già grandi ha fatto pensare ai proprietari John e Forrest di potersi sedere sugli allori, e così alla richiesta degli Universal Studios di poter utilizzare (e far vedere) le noccioline M&M in una scena di un nuovo film di fantascienza (otterrete della pubblicità aggiuntiva in cambio di un investimento irrisorio) risposero No grazie. Così la Universal decise di rivolgersi ad una ditta concorrente produttrice di noccioline. Il film in questione era E.T. L’extraterrestre e al posto delle M&M in quella scena (quando il ragazzo offre le caramelle all’alieno per invitarlo ad entrare in casa) gli spettatori videro la marca Reese’s Pieces. Questo prodotto, appena E.T. divenne un successo planetario, con l’aggiunta dello spot “le caramelle preferite da E.T.”, permise alla ditta produttrice di registrare una triplicazione delle vendite, per poi continuare a crescere. Secondo le stime di Jack Dowd, il manager della Hershey che accettò la proposta di inserire le noccioline nella scena del film proposto, per poche migliaia di dollari ottennero l’equivalente di una campagna pubblicitaria del costo di 20 milioni di dollari (di inizio anni ottanta).

Vendere allo scoperto non è solo un’operazione di borsa: vendere oggi un qualcosa che in futuro potrà valere di più o di meno per incassare subito può portare a grandi profitti ma anche incredibili perdite o delusioni dovute a mancanza di lungimiranza. E’ quanto accaduto ai manager della 20th Century Fox’s, divisione TV, il colosso mediatico americano. M*A*S*H Nel 1972, prima dell’era Murdoch, andò in onda una serie che ebbe un successo inaspettato: si chiamava M*A*S*H, e narrava le tragicomiche avventure di un gruppo di medici ed infermieri in un campo militare durante la guerra di Corea. Ai produttori interessava una serie a basso costo che riutilizzasse dei set cinematografici già pronti all’interno degli studi: una sorta di riciclaggio degli arredi, che però ebbe un successo inaspettato, per i primi due anni. Ma quando il successo della serie cominciò a segnare il passo, i vertici della Fox decisero di far cassa vendendo i diritti futuri della serie, e convinti che la serie fosse oramai in declino, vendettero i diritti alle tv locali (via cavo) al prezzo di 13mila dollari a puntata, senza garanzie e senza possibilità di rimborso, da pagarsi nel 1975 per puntate che avrebbero potuto trasmettere solo dopo l’ottobre del 1979. L’operazione fece incassare alla Fox 25 milioni di dollari subito, ma quando finalmente le TV locali cominciarono a trasmettere – nel 1979 – la serie era ancora molto popolare, forse anche di più, e per ogni puntata le tv locali incassarono 1 milione di dollari (contro i 13mila pagati), per ognuno dei 168 episodi. Quindi per incassare 25 milioni nel 1975 la Fox perse l’opportunità di incassarne 168 dal 1979 al 1982, con un mancato profitto di 143 milioni di dollari di allora.

Sempre in tema di serie tv la palma d’oro dell’incapacità spetta ai manager della ABC: nel 1984 il famoso attore Bill Cosby mostrò loro una prima occhiata di una sit-commedy e proponendone la vendita dei diritti. Si trattava della serie TV “I Robinson“, dove lo stesso Cosby recitava. La ABC rifiutò la serie, affermando che “la serie, mostrando una famiglia nera benestatente, ben educata, con i genitori entrambi professionisti, peccava di realismo e pertanto non sarebbe piaciuta agli spettatori”. La serie allora fu venduta ai rivali della NBC, e diventò la serie numero uno per i 10 anni a seguire…

Il brevetto del telefono? Non ci interessa quel giocattolo, abbiamo già il telegrafo. E’ quanto rispose nel 1876 William Orton, il presidente della Western Union, l’allora colosso delle comunicazioni (aveva il monopolio del telegrafo). Dotata di un capitale di oltre 40 milioni di dollari di allora (almeno 900milioni di dollari di oggi), rifiutò l’offerta di un intermediatore che proponeva l’acquisizione del brevetto del telefono per soli 100 mila dollari. La risposta dell’amministratore Orton verso a Bell (colui che brevettò il telefono inventato dal nostro Meucci) fu qualcosa del tipo “dopo un attento esame della vostra invenzione, che è interessante, siamo giunti alla conclusioni che non ha possibilità commerciali: che uso se ne farebbe un’azienda di un giocattolo elettrico?”.

E dire che il telefono avrebbe funzionato sui cavi del telegrafo già di proprietà della Western Union e disseminati in tutto il paese. Così Bell si tenne il brevetto, sviluppò il telefono con la sua compagnia (American Telephone and Telegraph, AT&T) che divenne la più grande compagnia in USA. La Western Union, che rifiutò il brevetto forse di maggior valore della storia, dopo 2 anni capì l’errore e lo stesso Orton investì milioni di dollari per modificare i propri brevetti in modo da sviluppare un telefono proprio, ma un giudice gli impose di smettere in quanto il telefono era coperto dal brevetto in mano a Bell. Inutile chiudere il cancello quando i buoi sono scappati.

In tema di telecomunicazioni, ma in tempi più recenti, troviamo il clamoroso errore da parte di Excite, il portale che nel 1999 ebbe la possibilità di acquistare Google. L’allora ceo di Excite, che ai tempi era tra i portali più visitati al mondo, entrò in trattativa con Larry Page e Sergey Brin, i fondatori di Google. Pare che la loro richiesta di vendere Google per 1 milione di incontrò il rifiuto dell’amministratore di Excite, che si fermò a 750mila dollari. Se avesse deciso di spendere soli 250mila dollari in più avrebbe acquistato un’azienda che oggi vale oltre 170 miliardi di dollari..

E nei tempi di internet l’errore più grande è non capire che gli scenari cambiano in fretta, come capitò a Blockbuster: che fine ha fatto? E’ stato vittima del proprio conservatorismo, distrutto dai concorrenti che si erano offerti di collaborare insieme solo qualche anno prima. Nel 2000 infatti Netflix, una ditta che si occupa di video on demand, offrì a Blockbuster uno scambio: essere pubblicizzati dalla allora famosa catena di negozi di noleggio film, in cambio di aiuto nel vendere il loro brand online. I manager di Blockbuster rifiutarono subito la collaborazione, e non capirono che lo sviluppo di internet stava portando all’affermazione della visione di film e video online a scapito del noleggio di videocassette e DVD. Blockbuster è fallita nel 2010, mentre Netflix è diventata il punto di riferimento negli USA per quanto riguarda il noleggio di DVD e videogiochi via internet, oltre che offrire un servizio di streaming online tramite abbonamento.

Se a volte la fortuna bussa alla porta come nei casi precedenti e non si è in grado di riconoscerla, anche per eccesso di prudenza, altre volte c’è chi si da la zappa sui piedi di propria iniziativa, come nel caso della birra Schlitz. Questa fino al 1957 era la birra numero uno negli USA e, quando fu superata dalla Budweiser, rimase comunque la numero due fino agli anni settanta quando l’allora amministratore Robert Uihlein Junior decise che era tempo di sorpassare la Bud e tornare ad essere i numeri uno. Come? Semplice, risparmiando sui tempi e sui costi di fabbricazione della birra. E così nello stabilimento Schlitz Brewing Company di Milwaukee, nel Wisconsin, modificarono la produzione sostituendo il malto d’orzo col meno costoso sciroppo di mais (!), cambiando lo stabilizzatore della schiuma, e addirittura il tempo per preparare la birra: da 40 giorni a 15. Il risultato fu una birra economica, con maggiori utili e.. un gusto terribile: “sembra muco” scrissero su una rivista specializzata. Per mesi il genialoide rifiutò di tornare sui suoi passi, ma quando alla fine si decise a ritirare dal mercato 10 milioni di lattine di birra oramai la reputazione della birra era rovinata. Nel 1981 lo stabilimento di Milwaukee fu chiuso e il marchio svenduto ai rivali della Stroh’s.

Sempre in tema di bibite, è nota a tutti la rivalità tra Coca Cola e Pepsi. Ma all’inizio del ventesimo secolo la Pepsi diverse volte andò in difficoltà, rischiando la bancarotta. Per ben 3 volte la Pepsi fu offerta alla Coca Cola, che ogni volta rifiutò di acquistarla. E da allora continua a combatterla..

Un’altra decisione che portò all’autodistruzione fu quella dei vertici della W.T. Grant, una catena di negozi: per aumentare il numero di clienti e di vendite decise di incentivare gli acquisti da parte dei consumatori offrendo loro credito. Ma allo stesso tempo i propri dipendenti capi-negozio che non raggiungevano la loro quota minima di vendite venivano sottoposti ad umiliazioni pubbliche (torte in faccia, schiacciare noccioline con il naso, girare indossando solamente un pannolino..). E così, per evitare queste umiliazioni, i capi negozio decisero di concedere credito a chiunque. In breve tempo l’azienda fu esposta per oltre 800 milioni di dollari per debiti che non potevano essere estinti e la W.T. fallì nel 1977.